Le installazioni di land art all’interno del parco di Villa Strozzi, parte integrante del suo piano di recupero, costituiscono certo un elemento di novità e non mancheranno di suscitare la curiosità di eventuali futuri visitatori e fruitori dell’area.
È direttamente Donata Negrini dell’associazione culturale Non Capovolgere, già protagonista di installazioni sull’acqua lungo il Rio a Mantova, a spiegare le ragioni del loro inserimento:

« La specificità della land art è quella di accogliere le suggestioni dei luoghi come richiami univoci di ispirazione perché non può esistere opera se non nella dimensione del dialogo con l’ambiente circostante: proprio quello, insostituibile, nessun altro al suo posto.
Ogni artista intuisce un dettaglio, una sfumatura, un particolare del contesto naturale che innescherà il processo creativo in una relazione di stretta interdipendenza, ma rivelando prospettive e punti di vista ancora inesplorati e quasi in attesa di rivelazione.
Così sarà anche del percorso di installazioni nel Parco di Villa Strozzi, un festival di land art che presenterà cinque opere nate da un approccio diretto […] con la storia e le caratteristiche del parco.
Denominatore comune di tutte è l’intenzione di restituire centralità al tempo: il senso della trasformazione, del legame ininterrotto tra il passato e la contemporaneità, il valore della memoria e dell’esperienza vissuta, emergono da ogni installazione, se pure nelle differenze di poetiche, di materiali e di tecniche. […]
Rigenerare la bellezza diviene, quindi, un compito ambizioso e straordinario che l’arte assume su di sé, per rinnovare – e forse anche cambiare per sempre – lo sguardo che si posa sui sentieri del parco, sulle piante e sugli alberi che lo animano, immaginando le persone che nel tempo lo hanno percorso prima di noi e quelle che lo attraverseranno in futuro. »

Cinque installazioni dunque di altrettanti artisti, due delle quali già in loco: rispettivamente Tempietto d’Arcadia di Candida Ferrari e Dis/ordine vegetale di Alberto Vettori.
Della prima, una vela di plexiglas colorato sostenuta da tubi zincati, dice l’autrice:

« Nel parco, vicino a un laghetto di cui si vede ancora lo scavo circolare, si trovava forse un tempietto, simile a quelli che erano chiamati d’Arcadia, dove si eseguivano piccoli concerti e scene teatrali di intrattenimento. Nel parco Ducale di Parma, la mia città, ne esiste ancora uno e così la sua immagine si è trasferita per me, quasi come un’illuminazione, in questo luogo che sta rinascendo dopo un lunghissimo periodo di incuria e soprattutto dopo la ferita inferta dal terremoto del 2012. Nella mia installazione reinterpreterò la forma del tempietto, con la cifra del mio lavoro artistico attuale, caratterizzato dalla leggerezza del plexiglas e dalla varietà dei colori. Si tratterà quindi di una struttura aerea, quasi immateriale, in cui l’eco delle note e delle poesie del passato potrà essere immaginata, e forse anche percepita, attraverso la suggestione di una relazione stretta tra i vuoti e i pieni, tra le linee di metallo perpendicolari al terreno e quelle sinuose di plexiglas dipinto, che potrebbero continuare verso il cielo volteggiando come aquiloni. […] »

Alberto Vettori racconta così il proprio progetto, due lastre di vetro sostenute da tubolari zincati:

« La titolazione Dis/ordine vegetale si lega alla prima impressione che ho ricevuto visitando il giardino in una fase di sistemazione. Quella visione sorprendente e casuale mi ha permesso di cogliere l’idea della mutevolezza di questo parco e, più in generale, di ogni spazio naturale.
Il mio lavoro artistico sarà caratterizzato da due stele verticali, divise in una parte superiore costituita da un vetro dipinto (inorganico) ed una inferiore, dalla sezione di un tronco delle potature effettuate presso il parco della villa (organico). L’opera si sospende tra due memorie: la contemporaneità-vetro e il passato evidenziato dalla presenza dell’albero ora reciso. La sezione del tronco si offre nella sua percezione tattile: le venature, i nodi, i segni intrinseci di una natura cresciuta spontanea, ora da evocare ed esplorare; mentre il vetro risponde ad un’amplificazione di segni determinati dall’atto pittorico e dalle trasparenze che filtrano l’oggettività del luogo.
[…] Si caratterizzano per essere osservate da entrambi i lati con due diversi approcci di lettura: una percettiva, materica, di volume, ed una riflessa dall’ambiente circostante. I colori, sul fondo del lavoro, riprendono il tono del verde come linfa spaziale, per collegarsi al ciclo di naturalità.
La sezione del tronco rivela quella parte nascosta appartenuta ad un organismo vivo, la cui energia viene congelata misteriosamente nell’immobilità.
Le stele, come sentinelle e custodi, dialogano con il luogo e nel luogo; osservanti, nell’atmosfera del posto, si pongono in relazione al tempo e alla luce, attraversando il ritmo delle stagioni. »

Nei prossimi mesi saranno collocate le altre opere: Passeggiando nel parco di Hans Joachim Kampa, Musica rinascimentale di Lorella Salvagni e Questa è la storia di Felice Tagliaferri.

Kampa così presenta il proprio lavoro:

« Anche se sia la foresta che il parco sono prevalentemente costituiti da alberi, c’è una differenza significativa: la foresta non ha bisogno dell’uomo per la sua esistenza, ma il parco sì. I parchi sono creati dalle persone per le persone, spesso nelle immediate vicinanze di una casa padronale, di una villa o come polmone verde in una città, per esempio. Ciò significa che il parco vive fortemente grazie ai suoi visitatori e alle sue peculiarità.
Per questo motivo nel mio progetto ho previsto la presenza di persone che camminano nel parco. Il gruppo di sculture è composto di circa 9 singole sculture, ognuna rappresenta una figura, una forma umana in forma astratta. Le specie legnose, i materiali delle sculture sono prevalentemente querce e legno del parco.
Le figure devono essere disposte in fila per un totale di circa 20 m, in singoli gruppi di 1 – 3 persone, come nella vita reale quando si fa una passeggiata in gruppo e si creano dei gruppetti: la coppia, la mamma con due figli, le tre amiche, il single…
Vorrei realizzare alcune figure direttamente nel luogo […] insieme con alcuni studenti interessati. »

Più di carattere storico l’ispirazione di Salvagni:

« Il Parco antico e la Villa Strozzi mi riportano immediatamente al Rinascimento. Il progetto dell’installazione traduce la forma monumentale della cupola nel linguaggio artistico contemporaneo; i concetti base del Rinascimento italiano, periodo storico artistico che da sempre mi affascina, vengono così proposti in chiave personale.
La cupola rappresenta l’elemento architettonico del luogo che unisce e accoglie i popoli di tante religioni per momenti rituali di preghiera; indica lo spazio dove l’essere umano cerca e trova il rapporto col Divino. Le cupole dominano i panorama di tante città, e ne costituiscono il punto di riferimento. Nella loro imponenza c’è uno straordinario accordo con il paesaggio naturale circostante, pur dominando la natura, non la stravolgono ma la esaltano, mettendosi in relazione con essa.[…] »

Speciale l’approccio di Tagliaferri, artista non vedente:

« Un libro di marmo, semiaperto con alcune pagine scomposte, si appoggia su un grande tronco del parco, a testimonianza del forte legame tra la cultura e la natura, una relazione inscindibile che ogni epoca ha decodificato in modo diverso, ma sempre cercando di intervenire sull’ambiente circostante, anche attraverso la sua trasformazione. Sul libro bianco è inciso in Braille il titolo dell’opera “Questa è la storia”, perché in un posto antico, così carico di passato, per capire tutto bisogna leggere, approfondire ogni pensiero, conoscere e interpretare ciò che è stato per meglio comprendere il presente.
Questo libro rappresenta quindi il sapere nelle sue innumerevoli forme, mai raggiunto una volta per tutte, una sfida continua per chi non si accontenta di una trasmissione di informazioni, ma vuole arricchirsi dando il proprio contributo. L’uso del Braille indica inoltre la necessità di un sapere globale, che superi ogni rischio di esclusione e di confine, ma intercetti le complessità della fruizione e la necessità di un’apertura totale, proprio come fa l’arte. »